2° versione corretta
Il protezionismo è la soluzione sbagliata per ridurre l’impatto competitivo della globalizzazione
Di Carlo Pelanda
La globalizzazione sta avendo un effetto selettivo sui paesi ricchi. In America, di più, ed Europa aumenta la domanda di protezionismo. Alcuni politici iniziano ad offrirlo. Ma va contrastato sul nascere perché distruggerebbe il mercato globale con conseguenze devastanti.
In America i media vedono l’ondata
neoprotezionista nei sondaggi e la ricaricano per incrementare gli ascolti. I
politici pressati dalla competizione elettorale, dagli stereotipi pompati dai
media, semplificano la questione confermando la sensazione della gente che la
globalizzazione sia un problema ed il protezionismo la soluzione perché è più
breve dire così. In Europa Sarkozy ha teorizzato una globalizzazione
bilanciata, ma senza evocare chiusure per non pregiudicare contratti importanti
in Asia. In Italia Tremonti caldeggia barriere, ma lo scrive in libri senza trasferirlo
ai programmi. In sintesi, siamo in una situazione non ancora pericolosa dove i
politici rispondono alla paura della gente assecondandola. Ma le parole in
politica sono importanti e c’è il rischio che le soluzioni di chiusura, se
ripetute, diventino più popolari di quelle aperte con due pericoli in Europa:
(a) l’affermarsi dell’idea che lo Stato sociale non vada cambiato, ma solo
difeso dall’esterno; (b) e che senza riforme liberalizzanti gli Stati
peggiorino la competitività reale trovandosi nella necessità di alzare barriere
sul serio. Sarebbe la catastrofe. Per questo è ora di pubblicizzare le analisi
realistiche e le soluzioni aperte. C’è un ritardo tra quando un paese cede
ricchezza a quello emergente e poi la riacquista aumentata ed è in questo gap
che avviene l’impoverimento del primo. Cause. L’economia dei paesi ricchi non è
sufficientemente veloce nell’abbandonare vecchie produzioni per passare a nuove meno vulnerabili alla
concorrenza.
Carlo Pelanda